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Affidamento preadottivo, riconoscimento del figlio e anonimato della madre

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Il caso oggetto dell'ordinanza della Cassazione Civile n. 23316/2021 riguarda una donna che, al momento di dare alla luce suo figlio, sceglieva il parto anonimo, ma successivamente, pentitasi della scelta, presentava un'istanza per la sospensione della procedura di adozione abbreviata, avviata dal Tribunale per i minorenni di Perugia ai sensi dell’art. 11, Legge 184/1983, chiedendo contestualmente il termine per il riconoscimento del figlio.
Si ricorda che la sospensione del procedimento d’adozione non è automatica, ma è rimessa alla valutazione discrezionale del Giudice. Inoltre, l'adozione può essere revocata solo nel caso in cui venga meno, anche, lo stato di abbandono del minore.


La domanda della ricorrente veniva respinta sia in primo grado, constatando lo stato di abbandono del figlio, poiché non era assistito né dai genitori biologici, né da parenti entro il quarto grado, sia dalla Corte d'Appello, che l'ha ritenuta inammissibile per carenza d'interesse da parte della madre, essendo nel frattempo intervenuta la dichiarazione dello stato di adottabilità del bambino.

Cassazione: il diritto della madre biologica di riconoscere il figlio

La Corte di Cassazione, adita dalla donna, con la sentenza n. 31196/2018, accoglieva il ricorso, stabilendo che il diritto della madre biologica di effettuare il riconoscimento del figlio, avente carattere indisponibile, non è precluso dalla sopravvenuta declaratoria di adottabilità del minore, a meno che alla stessa non abbia fatto seguito l'affidamento pre-adottivo dello stesso.

La questione veniva così riassunta di fronte alla Corte di Appello, la quale rigettava nuovamente la domanda sottolineando che, primariamente, nelle more dei vari procedimenti fosse intervenuto l'affidamento preadottivo del minore e secondariamente, di come un'eventuale rescissione del legame e delle condizioni di vita del bambino insorte all'interno della famiglia adottiva, avrebbe sicuramente determinato un trauma allo stesso, essendosi creata un'effettiva routine di vita familiare della durata di due anni e mezzo, mentre con la madre biologica non vi era alcun legame, né frequentazione.

Avverso la predetta sentenza la madre proponeva ricorso per Cassazione, sostenendo che i giudici di merito non avessero applicato il principio di diritto stabilito dalla Suprema Corte, e insisteva per la violazione e falsa applicazione del secondo e quinto comma  dell'art. 11 della Legge 184/1983, sostenendo che la dichiarazione dello stato di adottabilità avrebbe dovuto essere revocata, perché alla data della sentenza erano venuti a mancare tutti i presupposti per poterla pronunciare.

Affidamento preadottivo come momento limite per il riconoscimento

La Suprema Corte ritiene entrambi i motivi infondati, spiegano che la Corte di merito aveva correttamente accertato l’affidamento pre-adottivo intervenuto dopo la prima sentenza d’appello, il quale, ricordano gli Ermellini, viene individuato come il momento preclusivo per richiedere il riconoscimento del figlio.

La ratio di tale preclusione sta nel privilegiare l’interesse superiore del minore ad inserirsi in una famiglia che gli offra reali garanzie di stabilità, rispetto alla famiglia biologica, impedendo che il legame affettivo ed educativo che si è instaurato tra il minore e gli affidatari venga rescisso.

La Suprema Corte rimarca come anche a livello internazionale e sovranazionale si ravvisi la preminenza dell’interesse del minore quale criterio guida in tutte le decisioni che riguardano lo riguardano, vedasi:

• la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20/11/1989 (ratificata dall’Italia con l. 176/1991),
• la Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE (art. 24),
• la Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo (art. 8).

La Cassazione condivide tali principi, esposti anche nella sentenza impugnata, ritenendo la richiesta di riconoscimento tardiva e contrastante con il supremo interesse del minore.

Da ultimo, la Corte esclude la violazione dell’art. 5, co. 4 della Convenzione europea del 24 aprile 1967, in materia di adozione di minori, addotta dalla ricorrente, secondo la quale la procedura di adozione si era svolta con eccessiva rapidità considerato che era stata affetta da depressione post partum.

Nella realtà, la dichiarazione di adottabilità era stata emessa 6 mesi dopo il parto e la sentenza di adozione era intervenuta 8 mesi dopo l’affidamento pre-adottivo, sicché la madre avrebbe avuto tutto il tempo per presentare il proprio ricorso, spiegando le ragioni che l’avevano indotta all'abbandono del minore e quelle del successivo pentimento.

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