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Aborto, infanticidio e abbandono di neonato: i risvolti penali di una gravidanza indesiderata

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Negli ultimi giorni tutti i quotidiani e le trasmissioni televisive hanno raccontato la storia del piccolo Enea, il neonato affidato dalla madre alla “Culla per la vita”: una scelta difficile ma indubbiamente responsabile per garantire un futuro al proprio figlio.
D'altra parte invece occorre porre l'attenzione alle situazioni di rifiuto della gravidanza e del futuro nascituro da parte della madre, condotte penalmente rilevanti come potrebbe essere un aborto illegale, l'abbandono di un neonato per arrivare a comportamenti estremi quali l'infanticidio.
Difatti, anche se per la maggior parte dei casi la gravidanza costituisce uno di momenti, fortemente voluto e cercato, tra i più belli e gioiosi di una donna, per altre può capitare che tale situazione sia inaspettata ed indesiderata. Tale circostanza, in alcuni casi, può ingenerare nella futura madre un forte senso di inadeguatezza e disagio psicologico fino a spingerla a porre in essere comportamenti  punibili dal nostro ordinamento.


L'aborto e l'obiezione di coscienza: un ostacolo per la donna

Occorre, innanzitutto, evidenziare che un primo ostacolo per le donne è costituito dalla difficoltà per le stesse ad esercitare il diritto all'aborto nelle strutture ospedaliere, tant'è che è ormai dilagante in Italia il fenomeno cosiddetto di “obiezione di struttura”.
I dati presentati dall'Istituto Superiore di Sanità evidenziano come ormai un sempre maggior numero di personale sanitario si astenga da tale servizio, comportando delle serie difficoltà nel garantire alla donna la possibilità di abortire.
I dati del 2020 confermano un’alta percentuale di obiettori: 64,6% dei ginecologi, 44,6% degli anestesisti e 36,2% del personale non medico.
Questo, nonostante la legge 194, all'articolo 9, affermi che "gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare gli interventi di interruzione della gravidanza richiesti".

Ulteriore ostacolo da combattere è costituito poi dalla disinformazione, sia in ordine alle modalità in cui viene svolta l'interruzione di gravidanza, ma soprattutto in ordine alle condizioni per accedervi, difatti, molte donne arrivano in ospedale ben oltre il termine concesso per legge. Tale problematica riguarda soprattutto le giovani donne under 26 e le straniere, le quali sono le categorie che praticano di più l'aborto.

La punibilità delle condotte penalmente rilevanti commesse da una madre

Alla luce di tale panoramica, una donna che si trova a vivere la gravidanza come un forte disagio psicologico,  in alcuni casi, può rendersi responsabile di condotte penalmente rilevanti per il nostro ordinamento.

L'aborto clandestino è, purtroppo, una realtà ben nota in Italia; molteplici i casi di donne che si affidano a sedicenti medici o presunti tali al fine di interrompere una gravidanza. Ma mentre in passato la legge 194, che comminava fino a tre anni di prigione agli esecutori dell’aborto clandestino, aveva risparmiato chi lo subiva, limitandosi a una sanzione amministrativa pari alle vecchie 100mila lire, 51 euro, con il decreto legislativo n. 8 del 15 gennaio 2016 che ha depenalizzato molteplici reati, la sanzione amministrativa per le donne che abortiscono in clandestinità ha subito un rilevante aumento.
Ora, difatti, se l’aborto viene scoperto, la multa va da 5mila a 10mila euro.

Altra realtà sussistente in Italia è costituita dai numerosi  casi di abbandono di neonati, magari partoriti in casa, lasciati in cassonetti o in ceste. L'ultimo caso è stato quello della piccola Alice, trovata a fine Agosto, fuori dal Pronto Soccorso dell'Ospedale San Gerardo di Monza da un'infermiera in una scatola sopra il cofano di una macchina.
Anche se, certamente, questa storia ha generato un forte senso di disapprovazione nei più, altra parte  ha ritenuto la scelta della madre di lasciare la figlia davanti al nosocomio di ragguardevole benevolenza.
Ciò non toglie che quest'ultima, se individuata, sarà chiamata a rispondere del reato previsto e  punito dall'art. 591 c.p.

Tale  delitto rubricato “Abbandono di persone ,minori ed incapaci” dispone che: “Chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni”.

L’abbandono di persone minori è un delitto contro la vita e contro l’incolumità individuale, che punisce tutte quelle condotte, attive od omissive, che contrastano con gli obblighi derivanti dalla cura e dalla custodia ed è sufficiente, per l'integrazione del reato, che da tale condotta derivi un pericolo per l'incolumità della persona abbandonata.

Pertanto, la condotta di una donna che abbandona il proprio figlio, non solo sarà punita ai sensi dell'art. 591 c.p., ma la pena sarà aumentata ai sensi del comma 4 della medesima disposizione, in quanto il fatto è stato commesso da un genitore. Allorquando, altresì, da tale condotta ne derivi la lesione personale del bambino la pena subirà ulteriore aggravio.

A volte succede, purtroppo, che la madre si renda addirittura responsabile della morte del proprio figlio: tale condotta è punita dal nostro ordinamento  ai sensi dell’art. 578 c.p. o del più grave art. 575 c.p..

L’art. 578 c.p. rubricato “Infanticidio” prevede che: “La madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durante il parto, quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto, è punita con la reclusione da quattro a dodici anni”.
Invece, l’art. 575 c.p. rubricato “Omicidio volontario” dispone che : “Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno”.

Innanzitutto, occorre preliminarmente evidenziare che tale differente scelta punitiva comporta una rilevante conseguenza in ordine al trattamento sanzionatorio. Difatti, le due fattispecie di reato si differenziano dalla cornice edittale: l’art. 578 c.p. prevede una pena più benevola (da anni 4 a 12 di reclusione), rispetto a quella prevista per l’omicidio doloso (reclusione non inferiore ad anni 21).
Tale particolare trattamento sanzionatorio riservato dall’art. 578 c.p. trova giustificazione nella condizione di abbandono, descritto dalla norma, in cui si trova la madre infanticida. Questa circostanza rappresenta pertanto elemento costitutivo e specializzante del delitto de quo.

La condizione di abbandono nelle diverse interpretazioni

In merito alla nozione della condizione di abbandono, si segnala come in Giurisprudenza si contrappongano due filoni ermeneutici, uno più restrittivo e uno più estensivo.

Il primo, che potremmo definire “oggettivizzante”,  consente l’applicazione di cui all’art. 578 c.p. infanticidio, solo in quei casi in cui la donna, al momento del parto, si trova oggettivamente in una condizione di assoluto isolamento ed è realmente impossibilitata a ricevere qualsiasi aiuto fisico e morale.
Sulla stregua di tale interpretazione ermeneutica, la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata in limitati casi per l’applicazione del reato di infanticidio, e solo allorquando si fosse verificata una situazione di totale isolamento, in particolare “una situazione di indigenza e difetto di assistenza pubblica e privata, una solitudine causata da insanabili contrasti con parenti e amici e conseguente allontanamento spontaneo o coatto dal nucleo originario di appartenenza”.

Trovava, invece, applicazione il più grave reato di omicidio doloso o volontario laddove fosse stato creato volontariamente lo stato di isolamento e mantenuto con il fine di fare derivare la morte del neonato, ad esempio allorquando la donna fosse nelle condizioni di essere assistita e disponesse delle modalità per ricevere i soccorsi, ma si fosse da sola preclusa ogni assistenza e aiuto, partorendo clandestinamente.

L'altro filone giurisprudenziale più recente sembra, invece, applicare un indirizzo interpretativo meno rigoroso e restrittivo, promuovendo una lettura individualizzante dei requisiti della fattispecie.

In particolare, la Suprema Corte di Cassazione in una pronuncia evidenzia come l’elemento integrante dell’abbandono morale debba essere individuato nella mera percezione avvertita dalla madre nell’ambito di una complessa esperienza emotiva e mentale quale quella che accompagna il parto.
In particolare, tale interpretazione identifica l’isolamento come un turbamento spirituale, dando primaria importanza all’abbandono morale, a prescindere, però, dalla sua reale sussistenza,  essendo sufficiente che la donna lo percepisca, ponendo in secondo piano l’aspetto materiale, e ritenendo addirittura irrilevante che la donna disponga dei mezzi di sussistenza.

Per approfondire leggi anche:

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Sospensione della pillola e gravidanza indesiderata: quali tutele per l'uomo?

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