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Sospensione della pillola e gravidanza indesiderata: quali tutele per l'uomo?

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Poniamo il caso di una coppia in cui la donna, mentendo al proprio partner, lo rassicuri sull'utilizzo costante della pillola anticoncezionale come metodo contraccettivo in modo da evitare una gravidanza indesiderata.
Dopo qualche settimana dal rapporto sessuale non protetto, la donna scopre di essere incinta, proprio a causa della sospensione del metodo contraccettivo tenuta nascosta all'uomo.
L’uomo sentendosi in qualche modo incastrato, decide di chiedere un risarcimento del danno alla futura madre per la menzogna detta.
Questa pretesa è legittima? E soprattutto, può ottenere soddisfazione nelle aule giudiziarie?


Padri ingannati e figli indesiderati

In via generale la giurisprudenza, sia di merito, che di Cassazione, ha ormai costruito un proprio orientamento che potremmo definire granitico per ciò che attiene i figli indesiderati e i padri ingannati.
Tale orientamento si basa sul “principio di autoresponsabilità” da parte del padre, costruito in seguito a diverse sentenze (tra le altre n. 12350/1992, n. 3793/2002 e n. 13880/2017), di cui la più esplicativa è sicuramente la sentenza n. 21882/2013.

In questa vicenda il  padre si opponeva alla richiesta di riconoscimento del figlio proposto dalla madre, adducendo a propria difesa di essere stato ingannato dalla donna, che avrebbe falsamente riferito di usare anticoncezionali. La Cassazione ha così statuito: "la giurisprudenza di questa Corte è univoca nell'affermare che, nell'ipotesi di nascita per fecondazione naturale, la paternità è attribuita come conseguenza giuridica del concepimento, sicché è decisivo esclusivamente l'elemento biologico e, non occorrendo anche una cosciente volontà di procreare, nessuna rilevanza può attribuirsi al "disvolere" del presunto padre".

Insomma, la "volontà dell'uomo di concepire" non ha alcuna rilevanza.

Problema di disuguaglianza tra madre e padre?

Proprio in merito a questa affermazione, nel 2018 con la sentenza n. 32308, sempre la Cassazione ha rigettando l’eccezione di illegittimità costituzionale di un padre per ingiustificata disparità del regime giuridico relativo alla maternità e alla paternità naturali.

In questo caso la difesa del ricorrente si basava sulla considerazione per la quale: mentre la donna può scegliere di non essere madre abortendo o esercitando il proprio diritto di rimanere anonima (L. n. 194 del 1978 e D.P.R. n. 396 del 2000, art. 30), tali prerogative non sono concesse, né previste per l'uomo.

L'eccezione è stata rigettata in quanto le situazioni della madre e del padre, che secondo il ricorrente sarebbero normativamente discriminate con asserita violazione del principio di eguaglianza ex art. 3 Cost., non sono paragonabili, perché l’interesse della donna a interrompere la gravidanza o a rimanere anonima, non può essere assimilato all’interesse di chi, negando la volontà diretta alla procreazione, pretenda di sottrarsi alla dichiarazione di paternità naturale di cui all'art. 269 c.c.

In buona sostanza la Cassazione stabilisce che non si può ravvisare una disparità di trattamento, considerando che la legge regola in modo diverso situazioni che di fatto sono diverse.

Il principio dell'autoresponsabilità impone all'uomo che vuole tutelarsi da gravidanze indesiderate di prendere, sempre e comunque, tutte le precauzioni necessarie a nulla valendo la menzogna detta dalla donna.

Ciò è conseguenza del fatto che il rapporto sessuale non è paragonabile a un contratto (né tanto meno paragonato), nel quale le parti devono prestare il proprio consenso, comportarsi secondo buona fede e non tacere nulla di ciò a cui sono a conoscenza.

Quindi dal punto di vista civilistico e della richiesta di risarcimento del danno, derivante dalla menzogna, l'uomo non ha alcuna pretesa da poter far valere.

A seguito della disamina del "pensiero" della Corte di Cassazione, rimangono comunque dei dubbi e cioè se, nonostante l'orientamento della Corte, possano ravvisarsi ipotesi di reato in capo alla donna.

Le ipotesi che potrebbero venire in rilievo sono due:

1. La truffa: tale reato è caratterizzato non solo dall'inganno, perpetrato con raggiri, ma anche dal procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno e questo profitto deve essere conseguenza diretta dell’inganno. Se manca l'ingiusto profitto con l'altrui danno, il reato non può essere configurato.

2. La violenza privata: è un reato che si commette con violenza o minaccia, quindi costringendo la vittima a fare o subire qualcosa. Tale reato potrebbe integrarsi solo se uno degli esecutori dell'atto sessuale abbia costretto l'altro ad adottare o meno dei mezzi che possono incidere sulla possibilità di procreazione, ad es. preservativo.

Quindi, tornando al nostro esempio, neanche sul fronte penale ci sono possibilità di vittoria per l'uomo raggirato e falsamente rassicurato dalla donna, in quanto nessun dei due reati prospettati trova compiuta applicazione.

Per approfondire leggi anche:

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Procreazione medico assistita: il consenso della madre è sufficiente

Aborto, infanticidio e abbandono di neonato: i risvolti penali di una gravidanza indesiderata

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