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Una recente sentenza della Corte d’Appello di Milano ( n.1644/25) ha stabilito che le rette di ricovero nelle RSA devono essere a carico del Servizio Sanitario Nazionale quando l’assistenza è parte integrante della cura medica. Un principio che tutela il diritto alla salute e potrebbe aprire la strada a richieste di rimborso da parte delle famiglie.
Una sentenza che cambia gli equilibri
Con la sentenza n. 1644 del 9 giugno 2025, la Corte d’Appello di Milano è tornata sul delicato tema delle rette di ricovero nelle RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali), riaffermando un principio destinato ad avere ampio impatto: quando le prestazioni rese all’interno della struttura sono strettamente necessarie alla tutela della salute della persona, il costo deve essere a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), e non del paziente o dei suoi familiari.
La decisione – che si inserisce nel solco tracciato dalla Cassazione nel 2024 – chiarisce ancora una volta il confine tra assistenza “sanitaria” e assistenza “sociale”, questione da anni al centro di contenziosi in tutta Italia.
RSA: un intreccio tra sanità e assistenza
Le RSA accolgono persone non autosufficienti che necessitano di cure mediche continuative e assistenza alla persona; il problema nasce perché le loro prestazioni sono “socio-sanitarie integrate”, cioè comprendono sia aspetti medici sia assistenziali.
In teoria:
- le cure sanitarie dovrebbero essere a carico del SSN,
- mentre l’assistenza alla persona (vitto, alloggio, supporto quotidiano) può essere a carico dell’utente o del Comune.
Nella pratica, però, questa distinzione è spesso impossibile da applicare, perché le due componenti sono inscindibili. Ed è proprio su questo punto che si è concentrata la Corte d’Appello di Milano.
La decisione della Corte d’Appello di Milano n. 1644/2025
I giudici milanesi hanno stabilito che:
1. Le prestazioni socio-sanitarie integrate non possono essere separate quando l’assistenza è funzionale e indispensabile al trattamento medico. In questi casi, il costo complessivo rientra nella copertura pubblica.
2. È nullo l’obbligo di pagamento imposto all’utente per prestazioni che, pur contenendo elementi assistenziali, sono necessarie alla cura della patologia.
3. Il diritto alla salute prevale sui vincoli di bilancio: le Regioni e le ASL possono valutare caso per caso, ma non possono addurre motivi finanziari per negare la copertura sanitaria quando la componente medica è determinante.
La Corte ha richiamato anche il DPCM 14 febbraio 2001, che disciplina le prestazioni socio-sanitarie e impone l’integrazione tra sanità e servizi sociali, oltre a precedenti della Cassazione (in particolare, ord. n. 26943/2024), che aveva riconosciuto la gratuità delle prestazioni per pazienti affetti da Alzheimer.
I riflessi pratici: chi paga e cosa possono fare le famiglie
La sentenza ha un effetto immediato: quando la permanenza in RSA è determinata da esigenze sanitarie e terapeutiche, la retta deve essere sostenuta dal SSN.
Questo significa che:
- le famiglie non sono tenute a contribuire economicamente, se l’assistenza è parte integrante della cura medica;
- chi ha già pagato può chiedere il rimborso delle somme versate, dimostrando la natura sanitaria delle prestazioni ricevute.
Numerosi studi legali hanno già avviato azioni collettive in questa direzione, anche alla luce delle recenti conferme del Consiglio di Stato, che nel 2025 ha ribadito la legittimità dei rimborsi quando l’assistenza è inscindibilmente connessa alla cura.
Una questione di equità e di dignità
Il principio riaffermato dalla Corte non riguarda solo un aspetto economico, ma tocca il cuore del diritto alla salute sancito dall’art. 32 della Costituzione.
L’assistenza alle persone non autosufficienti non può essere considerata un “lusso” o un “servizio accessorio”, ma parte integrante del percorso di cura.
La sentenza di Milano rafforza dunque un orientamento ormai consolidato: la distinzione tra sanitario e assistenziale non può essere fatta in astratto, ma solo valutando se l’intervento sia necessario alla tutela della salute.
Prospettive future
È probabile che nei prossimi mesi altre Corti d’Appello seguano la linea tracciata da Milano, estendendo l’applicazione di questo principio anche a patologie diverse da quelle neurodegenerative.
Al tempo stesso, le Regioni dovranno rivedere i propri regolamenti per adeguarsi al quadro giurisprudenziale, evitando disparità di trattamento sul territorio.
In attesa di un intervento legislativo chiarificatore, la giurisprudenza sta dunque colmando un vuoto di tutela, restituendo centralità al diritto alla salute e ridando voce a molte famiglie che da anni si sentivano lasciate sole di fronte a costi insostenibili.
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