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Convivenza, eredità e diritti successori

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Con il termine convivenza more uxorio si indica una coppia non sposata che convive stabilmente sotto lo stesso tetto, condividendo una vita affettiva comune.
Fino al 2016 i diritti delle coppie di fatto, erano molto limitati ma con l’entrata in vigore della Legge Cirinnà nel 2016 la situazione è cambiata.
Innanzitutto, la Riforma introduce una distinzione tra coppie di fatto e convivenze di fatto: il discrimine sta nella scelta o meno di formalizzazione il rapporto, nonché nei diritti e doveri che ne discendono. 


Difatti, a differenza della coppia di fatto, che convive stabilmente senza registrare ufficialmente la relazione presso il Comune, la convivenza di fatto acquisisce rilevanza giuridica in quanto “ufficializzata”; per ufficializzare tale convivenza la normativa prevede alternativamente o la registrazione in Comune di residenza o la stipula del contratto di convivenza.

Nel primo caso, la coppia si reca presso l’ufficio anagrafe del Comune di residenza e dichiara di coabitare presso la medesima unità immobiliare: la dichiarazione viene registrata dall’ufficio anagrafe, che, contestualmente, aggiorna i dati anagrafici delle parti coinvolte e rilascia un certificato di convivenza per attestare ufficialmente la situazione.

Nel secondo caso, la coppia stipula  un contratto di convivenza, ovvero un accordo scritto che permette ai conviventi di disciplinare vari aspetti della loro vita insieme e, in particolare, i rapporti patrimoniali reciproci.
Nello specifico, si tratta di un contratto redatto per iscritto, con la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata da avvocato o da notaio: copia di tale documento deve essere trasmessa al Comune di residenza dei conviventi entro 10 giorni dalla stipula ai fini dell’iscrizione all’anagrafe. 

L’accertamento della convivenza di fatto implica l’acquisizione di uno status giuridico da cui discendono diritti e doveri reciproci tra i conviventi, differenti da quelli matrimoniali ma egualmente significativi; in particolar modo rilevanti diritti si acquisiscono, difatti, in caso di morte di uno dei due conviventi.
Nel caso in cui la convivenza sia registrata, il convivente superstite acquisisce alcuni particolari diritti:

- Diritto di abitazione. Nell’ipotesi in cui la coppia viva nell’abitazione di proprietà del convivente defunto, la legge riconosce al convivente superstite il diritto a continuare ad abitare in quella casa per un periodo pari a due anni, ovvero, in caso di durata della convivenza superiore a due anni, per un periodo comunque non superiore a cinque anni.
Se nella casa vivono figli minori o figli disabili del convivente superstite, il diritto di abitazione è garantito per almeno tre anni. Ciò anche in presenza di eredi. 

- Diritto di successione nel contratto di locazione. Il convivente superstite ha diritto di subentrare nel contratto di locazione intestato al convivente defunto.
Peraltro, anche nell’ipotesi in cui l’immobile sia stato assegnato come alloggio popolare al convivente defunto, il superstite ha diritto a subentrare in tale contratto: ciò, tuttavia, in presenza dei requisiti di reddito previsti dalla legge ed esclusivamente nell’ipotesi di convivenza iniziata almeno due anni prima, effettiva fino al momento del decesso.  

- Diritto alle informazioni sanitarie. Il superstite ha diritto di accesso alla cartella clinica del defunto: ciò anche nell’ipotesi in cui gli eredi dello stesso si oppongano. 

- Diritto al risarcimento del danno. In caso di morte del convivente per incidente o per fatto illecito altrui, il convivente superstite ha diritto a richiedere il risarcimento dei danni morali e patrimoniali.  

Pertanto, se con la registrazione della convivenza di fatto il convivente acquisisce particolari diritti, la registrazione non rileva, tuttavia, con riferimento all’eredità; il convivente more uxorio, sia registrato che non, non ha diritto automatico alla successione dei bene e alla pensione di reversibilità, a differenza di quanto avviene per i coniugi che sono sposati o per le unioni civili.

A tutela dello stesso, però, può essere fatto un testamento.
Tuttavia, ancorché si possa far ricorso al testamento, la posizione del convivente superstite ancora non può essere paragonata a quella del coniuge. Infatti, lo strumento in questione incontra alcuni significativi limiti.

In primo luogo, il convivente può disporre a favore del partner soltanto nella quota disponibile dell’asse ereditario, in modo da non ledere i diritti spettanti ai legittimari.
In secondo luogo, il testamento può essere revocato; di conseguenza è possibile che, all’apertura della successione, si venga a scoprire l’esistenza di un testamento revocativo di quello conosciuto dal convivente.

Un’ulteriore limitazione, particolarmente degna di nota, riguarda il fatto che le disposizioni volte a tutelare il convivente more uxorio rimasto in vita non possono essere inserite in un contratto, atteso il divieto di patti successori previsto dall’art. 458 cod. civ, secondo il quale “è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione”.

Chiarito ciò, tra gli atti che si prestano in misura maggiore a soddisfare le esigenze di tipo successorio dei conviventi sono: la donazione cum moriar, la donazione si moriar e la donazione si praemoriar.
Precisamente, nella donazione cum moriar il termine iniziale di efficacia coincide con la morte del donante; la donazione si moriar è assoggettata alla condizione sospensiva della morte del donante; la donazione si praemoriar è infine sottoposta alla condizione risolutiva della premorienza del donante.

Tuttavia, anche tali strumenti giuridici rappresentano delle proprie criticità; difatti, in relazione alla validità di queste tre ipotesi di donazione le opinioni non sono pacifiche. Al contrario, occorre prendere atto dell’esistenza di un contrasto giurisprudenziale non ancora risolto.
Un primo orientamento ritiene valide quelle forme di donazione ove il donatario acquista immediatamente, sia pur sotto condizione sospensiva, godendo di un’aspettativa legalmente tutelata e potendo compiere atti conservativi, oltre a poter disporre del diritto.

Su altro versante si è invece sostenuto che, mentre la donazione sottoposta a condizione sospensiva della morte del donante non può essere un valido strumento alternativo al testamento in quanto urta con il divieto dei patti successori, viceversa va detto con riferimento alla donazione sotto condizione risolutiva della premorienza del donatario ai sensi dell’art. 791 c.c.
La questione risulta, ad oggi, ancora aperta non avendo la giurisprudenza successiva a quella citata dato maggior seguito ad uno piuttosto che all’altro orientamento.

Per approfondire leggi anche: 

Conviventi e coppie di fatto: l'eredità

Fra ex coniugi e nuovi conviventi chi ha diritto all'eredità?

Registrare la convivenza: come e perchè

Il convivente di fatto nell'impresa familiare

Come posso dimostrare la convivenza? Che diritti acquisisco?

Il contratto di convivenza: quello che devi sapere

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