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Cosa succede se un dipendente rifiuta di vaccinarsi?

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Con l’arrivo delle prime dosi, da settimane, si discute sull'ipotesi della vaccinazione obbligatoria nei luoghi di lavoro al fine di prevenire il contagio da Covid-19 ed evitarne la diffusione e quali potrebbero essere le conseguenze per un lavoratore che si rifiuta di sottoporsi a tale vaccinazione.


Si tratta di una tematica molto complessa, in quanto da un lato si tratta di un vaccino che, al momento, non è ancora disponibile per tutta la popolazione di lavoratori e dall’altro lato non vi è nessuna norma imposta ad hoc che ne prescriva l’obbligatorietà.

I soggetti contrari al vaccino fanno leva, infatti, sull’assenza di una norma che preveda espressamente l'obbligo di sottoporsi al vaccino anti-covid, pertanto, in tal caso a nessuno, non solo ai lavoratori, può essere imposto di accettare la somministrazione di un trattamento sanitario rispetto al quale non è stato espresso il consenso, anche sulla base del dettato della Costituzione all’art. 32, comma II, secondo cui “Nessuno può essere obbligato a sottoporsi ad un trattamento sanitario se non in forza di una disposizione”.

Al contrario, però, bisogna tenere conto anche dei doveri del datore di lavoro, il quale deve garantire lo svolgimento e la continuità delle mansioni lavorative, adottando ogni misura idonea a prevenire il rischio di contagio e a tutelare la salute di ogni risorsa umana impiegata.

L'imprenditore, infatti, è tenuto ad adottare tutte le misure idonee a prevenire non solo i rischi tipici che sono presenti nell’ambiente di lavoro, ma oltre ad avere un vero e proprio dovere di prevenzione e protezione anche nei confronti dei rischi derivanti da fattori esterni, una posizione di garanzia che gli impone di adottare ogni cautela preventiva imposta dal Testo Unico sulla Sicurezza sui luoghi di lavoro.
Una novità fondamentale per quanto concerne gli obblighi imprenditoriali è stata introdotta nel mese di aprile 2020, in piena pandemia, attraverso l'attuazione del “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”.

Tale documento ha previsto prescrizioni volte a disciplinare le modalità di accesso e permanenza nei luoghi di lavoro, l'igiene personale, l'utilizzo dei dispositivi di protezione personale, l'ingresso e la permanenza di terzi esterni nelle aziende, la gestione delle aree comuni, le turnazioni del personale e le procedure di ingresso ed uscita dagli ambienti interni all'azienda.
Oltre ai citati doveri imprenditoriali, vi sono inoltre doveri gravanti sui dipendenti; nello specifico ogni lavoratore deve prendersi cura sia della propria salute e sicurezza, sia di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, è tenuto, inoltre, ad osservare le disposizioni impartite dal datore di lavoro aventi ad oggetto la protezione collettiva e individuale.

Sono numerose le ipotesi a confronto per quanto concerne l’obbligo di licenziamento nei confronti del lavoratore che non si sottopone a vaccinazione.
La prima ipotesi si basa sul presupposto che, pur riconoscendo l’importanza dei doveri datoriali, non si possa ricavare da questi come conseguenza la possibilità per il datore di lavoro di imporre al lavoratore il vaccino, di conseguenza viene esclusa l'ipotesi di un licenziamento a fronte del rifiuto da questi eventualmente opposto, a causa dell'assenza di una legge che sancisce l'obbligatorietà del vaccino medesimo.

Se sono numerosi i dipendenti a sostegno di tale tesi, l'imprenditore avrebbe come unica soluzione quella di controllare, caso per caso, se il dipendente sia o meno idoneo a svolgere le mansioni fino a quel momento affidate, eventualmente collocandolo in smart-working o valutando l'assegnazione di differenti mansioni, che escludano il rischio di contagio, oppure potrebbe avvalersi della c.d. aspettativa non retribuita, in ragione della temporanea inidoneità del lavoratore di attendere ai propri incarichi e solo nel caso in cui questa da temporanea si trasformasse in definitiva, il datore di lavoro potrebbe prendere in considerazione il licenziamento.
Tutto questo comporterebbe sia una vera e propria compromissione dell’attività di impresa sia un’impossibilità nell’organizzazione e nel garantire la continuità delle mansioni.

La seconda ipotesi, invece, si fonda sul presupposto che il vaccino deve essere preso in considerazione quale misura di prevenzione dei rischi con la conseguenza che non solo il rifiuto alla vaccinazione opposto dal lavoratore potrebbe essere fonte di contestazione disciplinare, ma che dette conseguenze potrebbero assumere maggiore severità a causa del fatto che il dipendente potrebbe essere temporaneamente inidoneo a rendere la prestazione lavorativa in condizioni di sicurezza.

In assenza di un'espressa previsione normativa che prevede l'obbligo vaccinale, il dovere di vaccinarsi risiederebbe nell'osservanza razionale e responsabile sia delle norme prescritte dal Testo Unico in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro sia dei protocolli emanati in tale contesto storico.

In un momento così straordinario è da prevedere che, come già accaduto con altri diritti costituzionali inviolabili quali la libertà di uscire di casa, è opportuno non escludere a priori che anche le previsioni in materia di tutela del diritto alla salute possano subire una contrazione, a condizione che la stessa sia ragionata.

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