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Se i figli non vogliono vedere il padre, la madre non ha colpe

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Secondo la Corte di Cassazione, prima di condannare una madre perché ritenuta colpevole di non favorire il rapporto tra padre e figli, occorre ripetere le prove, se quest’ultima è stata assolta in primo grado: occorre annullare quindi la sentenza e rinviare ad un’altra sezione della Corte d’Appello per verificare se effettivamente la madre ha eluso un provvedimento del giudice non favorendo il contatto tra padre e figli.

Il caso. Una madre, dopo essere stata assolta in primo grado, viene condannata in appello per il reato di cui all’art. 388 comma 2 c.p. a causa del mancato rispetto del provvedimento del Tribunale che ha riconosciuto il diritto del padre di vedere i figli.

L’articolo sopraindicato prevede la pena della reclusione fino a tre anni o la multa da € 103,00 a € 1.032,00 nei confronti di chi elude un provvedimento assunto nel procedimento di separazione personale dei coniugi o nel procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio che riguarda l’affidamento di minori o di altre persone incapaci.

Per l’imputata la sentenza della Corte d’Appello sbaglia, in primo luogo, nel considerare il reato commesso come un permanente, precisando che nel corso delle indagini preliminari l’accusa per il reato specificato nell’art. 572 c.p. è venuta meno per archiviazione del procedimento, di conseguenza tali condotte non potevano essere esaminate in sede d’appello, in secondo luogo nel valutare le dichiarazioni rese dalla persona offesa e dai testi, dai quali non emerge alcun episodio di ostatività da parte della madre, e infine, in terzo luogo, nel valutare i risultati della consulenza tecnica d’ufficio.

La consulente ribadisce infatti i tentativi della madre per avvicinare i figli al padre, nonostante i rapporti conflittuali in corso tra di loro.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 601/2020, ritenendo fondato il ricorso, annulla la sentenza e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo giudizio, sottolineando l’errore commesso da quest’ultima Corte, che nel ribaltare la sentenza assolutoria di primo grado non ha disposto la regola della rinnovazione dell’attività istruttoria, ascoltando nuovamente i testimoni e la parte civile.

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