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Madre casalinga: il padre può richiedere i permessi per allattamento?

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Quando si diventa genitori ci sono diversi strumenti creati dal Legislatore al fine di di coordinare la nuova vita quotidiana con la propria vita lavorativa.
Tra i benefici più conosciuti rientrano sicuramente i periodi di riposo, cioè singole ore durante la giornata che i genitori possono utilizzare per accudire i propri figli, entro il loro primo anno di vita, comunemente intesi anche come permessi per allattamento.
Inizialmente previsti per aiutare le madri lavoratrici ci sono situazioni particolari che prevedono che sia il padre a beneficiare di questi permessi nei primi mesi di vita dei figli.


Tali permessi sono regolati dagli artt. 39 e 40 del D. Lgs 151/2001 i quali, brevemente, stabiliscono che:

1. Il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata;

2. I periodi di riposo hanno la durata di un’ora ciascuno e sono considerati ore lavorative;

3. I periodi di riposo sono di mezz’ora ciascuno quando la lavoratrice fruisca dell’asilo nido o di altra struttura idonea, istituita dal datore di lavoro nell’unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa.

Il successivo articolo 40 prevede che: i periodi di riposo sono riconosciuti al padre lavoratore:

a. Nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre;
b. In alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga;
c. Nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente;
d. In caso di morte o di grave infermità della madre».

Madre casalinga e il padre dipendente richiede il permesso di allattamento

Una recente sentenza del Consiglio di Stato, la n. 17/2022, ha trattato la questione dei periodi di riposo o cosiddetti periodi per l'allattamento, rispondendo alla questione se il fatto che la madre del neonato fosse casalinga, potesse in qualche modo inficiare o incidere sull'utilizzo degli stessi da parte del neo-papà.

I protagonisti della vicenda sono da un lato, il padre, assistente della Polizia di Stato, che con ricorso al TAR della Sardegna ha chiesto l’annullamento del rigetto della sua richiesta di fruizione dei riposi giornalieri e dall'altro il Ministero dell'Interno, che chiedeva il rigetto del ricorso avanza dal padre, sostenendo che: la situazione della madre, essendo ‘casalinga’, consentiva la presenza costante di un genitore in casa, con ciò soddisfacendo in radice quei bisogni a cui l’istituto in parola è preordinato.
Inoltre il Ministero sosteneva che il termine “lavoratrice dipendente” dovrebbe essere interpretato in modo restrittivo secondo l'art. 2 del D. Lgs. 151/2001 e cioè facendo riferimento ai dipendenti, compresi quelli con contratto di apprendistato, di amministrazioni pubbliche, di privati datori di lavoro nonché ai soci lavoratori di cooperative.

Di conseguenza, procedendo a contrario, non possono definirsi "non lavoratrici dipendenti" le figure che svolgono un lavoro nell’ambito domestico o familiare, poiché non dipendenti può significare solo: lavoratrici autonome o liberi professionisti.

Proprio sulla questione interpretativa i giudici hanno dovuto esprimersi, risultando fortemente contrari alla versione fornita dal Ministero dell'Interno.

I giudici hanno osservato che i periodi di riposo rientrano nel novero dei diritti riconosciuti per tutelare la funzione genitoriale, a cui si riconnettono:

• Sia le responsabilità di entrambi i genitori nei confronti del figlio (naturale o adottivo) e il loro diritto di accompagnare la crescita dello stesso;
• Sia il diritto del figlio ad ottenere, per il tramite dell’assistenza dei genitori, ottimali condizioni di crescita e di sviluppo della sua età evolutiva.

Infatti i periodi di riposo di cui all’articolo 39 del D. Lgs. n. 151/2001 non hanno natura di beneficio concedibile dall’Amministrazione, bensì di diritto derivante anche dall'art. 30 Cost. che sancisce il diritto-dovere di mantenere, istruire, educare i figli, posto non a caso in capo ad entrambi i genitori, ponendoli in una situazione di assoluta parità, per quanto concerne la cura della prole.

Inoltre, il Consiglio di Stato sottolinea che affinché i periodi di riposo vengano concessi al padre durante il primo anno di vita del bambino, occorre solo il duplice presupposto che lo stesso sia un lavoratore dipendente e che la madre non lo sia.
L’interpretazione opposta, per la quale verrebbero esclusi dall’applicazione i casi in cui la madre sia casalinga, risulterebbe in contrasto con la normativa.

Da ultimo, con estrema chiarezza espositiva i giudici stabiliscono che il dato letterale "nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente", intende riferirsi a qualsiasi categoria di lavoratrici non dipendenti, e quindi anche alla donna che svolge attività lavorativa in ambito familiare, senza che sia necessario, a tal fine, che sia impegnata in attività che la distolgono dalla cura del neonato, ovvero sia affetta da infermità.

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