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Il mobbing del datore di lavoro può integrare il reato di stalking

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La recentissima sentenza della Corte di Cassazione n. 12827/2022 vede come protagonista della vicenda processuale il presidente di una società di servizi, il quale ha tenuto condotte vessatorie nei confronti dei propri dipendenti.
Particolare è l'esito della sentenza che, per la prima volta, inquadra quello che finora veniva chiamato mobbing in un comportamento persecutorio che potrebbe rientrare in quelli previsti dall'art. 612 bis c.p., introducendo di fatto il concetto di stalking occupazionale.

Il mobbing: comportamenti vessatori sul posto di lavoro

Come forse noto, e come definito nella sentenza Cass. n. 22939/2012, il mobbing è quella particolare condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica.

Generalmente definito come mobbing orizzontale o verticale a seconda che venga messo in atto da colleghi o direttamente dal datore di lavoro, nella maggioranza dei casi, lo scopo di tali atteggiamenti è quello di aumentare la produttività della società, richiedendo maggiore attenzione ai propri dipendenti e mettendoli sotto forte pressione, con anche la costante minaccia di venire licenziati.

In sede di appello viene riformata in parte la decisione del tribunale di primo grado con la quale è stata affermata la responsabilità penale dell'imputato per atti persecutori aggravati.

Il datore ha poi proposto ricorso per Cassazione sulla base di due motivi fondamentali:

1. Vi è stato un travisamento della lettera firmata dal Sindaco del Comune, in cui si afferma che tutti i provvedimenti presi nei confronti dei dipendenti sono stati condivisi ed esaminati dal CdA e che inoltre molti dipendenti, restii ai cambiamenti aziendali, avevano disatteso gli ordini di servizi e le direttive di lavoro, comportando un conflitto con le associazioni sindacali;

2. il reato di atti persecutori, meglio conosciuto come stalking, e il mobbing non sono sovrapponibili.

La Corte tuttavia rigetta il ricorso e spiega che "il mobbing, inteso come reiterata attuazione di condotte volte a esprimere ostilità verso la vittima e preordinate a mortificare ed isolare il dipendente nell'ambiente di lavoro, può integrare il delitto di atti persecutori, laddove produca nella vittima uno stato di prostrazione psicologica che si manifesti in uno dei tre eventi previsti dall'art. 612 bis c.p."

Il concetto di stalking occupazionale

Inoltre le condotte di persecuzione e isolamento nell'ambiente di lavoro a danno dei propri dipendenti, generalmente, vengono rappresentante dall'abuso del potere disciplinare, culminante in licenziamenti punitivi.
Infatti proprio nel caso di specie, è emerso che l'imputato ha sottoposto i propri lavoratori a rimproveri pubblici e a una serie di provvedimenti disciplinari culminati in un licenziamento per ingenerare terrore nei colleghi.

Da ultimo la Corte sottolinea come non rilevi che il datore di lavoro abbia agito per migliorare la produttività della società, in quanto la stessa non può essere raggiunta con la persecuzione e l'umiliazione dei propri lavoratori.

Non rileva neppure che le decisioni assunte siano state condivise da Sindaco e CdA; al più tali informazioni possono esclusivamente fondare la corresponsabilità penale dei medesimi.

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