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E' lecito registrare conversazioni di lavoro?

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L'ambiente lavorativo e soprattutto i rapporti tra i colleghi non sono sempre sereni e facilmente gestibili. Potrebbero infatti crearsi situazioni in cui i rapporti personali diventino difficoltosi sino a degenerare in situazioni rientranti nella fattispecie del mobbing.
Proprio allo scopo di provare tali situazioni spiacevoli e stante l'ormai prassi comune di sostituire le riunioni di persona con l'utilizzo di piattaforme software in grado di creare stanze virtuali a cui tutti i partecipanti possano collegarsi, ci si potrebbe chiedere se sia possibile, ma soprattutto lecito, registrare le riunioni di lavoro, da remoto o in presenza, creandosi così una prova utilizzabile in un futuro e ipotetico procedimento.


Primariamente occorre specificare sin d'ora che le registrazioni sul posto di lavoro, inerenti ad una riunione, non rientrano nell'esenzione per uso personale o domestico di cui all'art. 2, co. 2, lett. c del Reg. UE n. 679/2016, meglio conosciuto come GDPR.
Ciò significa che tali registrazioni rappresentano un trattamento illecito dei dati personali, soprattutto quando effettuate in modo occulto, quindi all'insaputa dei partecipanti alla riunione medesima.

Di conseguenza, la registrazione potrebbe essere considerata lecita, se tutti i partecipanti siano stati informati della registrazione della sessione e abbiano dato il loro consenso.
Si pensi ad esempio ai corsi di formazione dove, normalmente al momento dell'iscrizione viene fatta sottoscrivere la cosiddetta informativa sulla privacy e durante il corso medesimo si leggono diversi messaggi che avvisano il partecipante del fatto che la riunione stia venendo registrata.

I casi in cui è consentita una registrazione occulta

Tuttavia, vi sono altre ipotesi in cui la registrazione, anche se avvenuta in modo occulto, di una riunione o conversazione tra colleghi può essere ritenuta lecita.

La Cassazione infatti con la sentenza n. 12534/2019 ha stabilito che la registrazione è lecita solo se:

1. Sia stata effettuata fuori dal domicilio o dall'ufficio privato del soggetto registrato;

2. Alla conversazione registrata partecipa personalmente il soggetto che registra.

Considerando, quindi, questi principi è necessario che si verifichino entrambe queste condizioni:

- La riunione non sia stata tenuta all'interno dello studio, azienda, ufficio o altro luogo non aperto al pubblico, che sia di proprietà del soggetto che viene registrato;

- Il soggetto che registra non può mai allontanarsi dal luogo della riunione.

Mantenendo fermi questi principi, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la registrazione, per essere considerata lecita, deve essere eseguita "per tutelare la propria posizione all'interno dell'azienda" nonché "per precostituirsi un mezzo di prova". Ciò, però, solo nel caso in cui lo stesso sia "pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità".
In assenza di tutti questi presupposti si avrà lesione della privacy dell'interlocutore e quindi un trattamento illecito dei dati personali.

Le registrazioni senza valore probatorio

Un'ulteriore e interessante sentenza emessa dal Tribunale di Venezia, sentenza n. 2286/2021 fa espressa applicazione dei principi appena esaminati: nel caso in esame la registrazione aveva ad oggetto una riunione di lavoro tenutasi per la risoluzione di alcune difficoltà organizzative interne all'azienda.
Il lavoratore aveva registrato di nascosto la conversazione, mediante un dispositivo occultato, senza tuttavia vantare esigenze, neppure pre-difensive, nei confronti del datore di lavoro.
La registrazione, inoltre, era stata conservata e poi messa a disposizione di altri colleghi che non avevano preso parte alla riunione.

Il Tribunale di merito ha ritenuto tale condotta totalmente estranea alle linee guida dettate dalla Suprema Corte sia per quanto riguarda la mancanza di una propria ed effettiva esigenza difensiva, sia “con riferimento al difetto della pertinenza, sul piano temporale, dei tempi di conservazione dei dati a quanto strettamente necessario alla propria difesa”.

Tra privacy e diritto alla difesa

Infatti, per quanto il diritto alla difesa prevalga sul diritto alla riservatezza delle proprie comunicazioni e quindi sul diritto alla privacy, il primo deve essere sempre dimostrato; ne consegue che colui che si vuole avvalere di una registrazione deve provare la sussistenza di un contesto litigioso, in cui il trattamento dei dati avvenuto tramite la registrazione sia avvenuto al fine di chiedere la tutela dei propri diritti.

Per approfondire leggi anche:

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