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Ex moglie rifiuta un'offerta di lavoro: salta l'assegno di mantenimento

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Il mantenimento non è un vitalizio.
Sembra ormai chiaro il pensiero della Suprema Corte di Cassazione sull'eterna questione dell'assegno di mantenimento.
La vicenda trae origine dalla  storia di una signora di Ancona, chiamata in causa dall'ex marito per la revoca dell'assegno, che in sede di divorzio era stato calcolato in euro 48mila annui.


L'ex coniuge, in particolare, deduceva in giudizio tre motivi a fondamento della propria pretesa, e precisamente sosteneva che:

1) l'ex moglie aveva intrapreso una nuova convivenza more uxorio;

2) aveva rifiutato una congrua offerta di lavoro, 

3) infine la donna non aveva voluto stipulare una polizza assicurativa a suo favore.

Se in primo grado la richiesta del marito veniva accolta, la Corte d'Appello, invece, riformava il decreto di accoglimento alla luce della non dimostrata convivenza stabile della donna con un altro uomo.
Non assumeva rilevanza, a parere del giudice di seconda istanza, la circostanza che la donna avesse rifiutato un'offerta di lavoro.
Difatti, i giudici ritenevano congruo tale rifiuto rilevato che in sede di divorzio era stata stabilita la rivisitazione dell'importo solo alla luce di un impiego part-time con stipendio mensile superiore a Euro 1.000,00=.

L'uomo non soddisfatto decideva, dunque, di ricorrere in Cassazione lamentando l'errata valutazione delle circostanze da lui messe in luce e, pertanto, la conseguente mancata riduzione dell'assegno di mantenimento.

La Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 2684/2023 capovolge il risultato, decidendo di  decurtare alla  signora l'assegno di mantenimento di cui godeva perchè colpevole di aver declinato un'apprezzabile offerta di lavoro.
Difatti, gli Ermellini rilevano come la Corte d'Appello avrebbe dovuto valutare l'offerta lavorativa nel suo complesso: la stabilità e serietà della stessa, l'effettività del posto di lavoro e la congruità dell'impiego rispetto alla formazione della donna.
Se si fosse accertato che l'offerta era valida e seria rifiutandola la donna avrebbe violato i doveri post coniugali di autoresponsabilità e di autoderminazione.

Tale decisione si pone certamente in linea con il pensiero ormai consolidato della Corte in ordine alla natura assistenziale dell'assegno di mantenimento.
Difatti già le Sezioni Unite con la sentenza n. 18287 del  11/07/2018 avevano sostituito il precedente criterio del "tenore di vita" con quello dell'"autosufficienza", decretando come l'assegno di mantenimento avesse una funzione assistenziale, compensativa e perequativa, con il solo scopo  di garantire l’autosufficienza economica al coniuge che non è in grado di provvedervi con la propria capacità lavorativa e non dispone di redditi adeguati.

Nella suddetta sentenza si legge, tra l’altro, che il riconoscimento dell’assegno in favore dell’ex coniuge richiede che sia accertata l’inadeguatezza dei mezzi dell’istante e la sua impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.

Già nel 2019 la Corte di Cassazione con l'ordinanza  n. 26594 del 18 ottobre 2019 aveva decretato come una donna, ancora in giovane età e pienamente capace di trovarsi un’occupazione, non avesse diritto a percepire l’assegno divorzile in ragione del fatto che volontariamente avesse abbandonato l’impiego che le assicurava l’autosufficienza economica.

Dunque con l'ordinanza n. 2684/2023 viene  confermata la funzione meramente assistenziale, ed al contempo perequativa e compensativa dell’assegno divorzile, che non spetta al richiedente che versi in stato di bisogno imputabile ad una sua libera scelta.

Per approfondire leggi anche:

Il lavoro in nero influisce sull'assegno di mantenimento?

Versamento una tantum del mantenimento in fase di separazione

Lo squilibrio tra le condizioni economiche dei coniugi non basta per l'assegno di mantenimento

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