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Maltrattamenti in famiglia: il ruolo della persona offesa

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L'art. 572 c.p. punisce con la reclusione da 3 a 7 anni chiunque maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte.
Questa norma ha lo scopo di tutelare tutti i soggetti considerati vulnerabili ai casi di violenza domestica, cioè coloro i quali non hanno altra scelta se non cedere all’abuso, poiché la situazione quotidiana venutasi a creare non consente loro una via di uscita o una possibilità di reazione.


Il reato di maltrattamenti in famiglia condanna tutte quelle condotte reiterate nel tempo che sottopongono il soggetto passivo a una condizione di inferiorità psicologica, che si concretizza in uno stato di sofferenza, avvilimento, sopraffazione derivante dalle vessazioni subite, le quali sono tali, per entità e gravità, da rendere intollerabile la convivenza.

L'elemento fondamentale della fattispecie è la reiterazione nel tempo dei comportamenti abusanti.
Il reato infatti viene definito abituale, poiché si caratterizza dal ripetersi nel tempo di vari comportamenti vessatori i quali, considerati singolarmente, potrebbero anche non essere punibili.
Le condotte poste in essere dal soggetto maltrattante, inoltre, devono essere caratterizzate dalla consapevolezza e conoscenza di agire in modo tale da denigrare il convivente maltrattato, da umiliarlo, ponendosi su un piano di superiorità rispetto allo stesso.

Come purtroppo risaputo le vittime di tali reati si trovano in una situazione di totale sottomissione nei confronti del soggetto maltrattante, il quale tende a controllare compulsivamente l’esistenza della vittima, ad isolarla da qualsiasi contesto familiare di riferimento, a sorvegliarla continuamente e ad incolparla per tutto ciò che di negativo accade nella propria vita.

Tuttavia, per quanto complicato e difficoltoso sia, la vittima di tali abusi ha un'"arma" a propria disposizione, la quale può essere posta a fondamento della sentenza di condanna: le proprie dichiarazioni rese in merito ai maltrattamenti subiti.

Le dichiarazioni di un testimone (anche se si tratti della persona offesa), per essere positivamente utilizzate dal giudice, devono:
- Risultare credibili;
- Avere ad oggetto fatti di diretta cognizione e specificamente indicati.

Le dichiarazioni della persona offesa sufficienti per una sentenza di condanna

Per costante giurisprudenza anche della Cassazione a Sezioni Unite, e come ha di recente sottolineato il Tribunale di Lecco in una vicenda che vedeva come protagonisti un uomo – soggetto maltrattante nonché convivente – e una donna – vittima dei maltrattamenti – le dichiarazioni rese dalla persona offesa possono essere legittimamente poste, da sole, a fondamento di una sentenza di condanna, se si supera un vaglio di credibilità e di attendibilità del narrato.

A ciò si aggiunge che, contrariamente ad altre fonti di conoscenza, come le dichiarazioni rese da coimputati o da imputati in reati connessi, esse non abbisognano di riscontri esterni, che tuttavia sono comunque opportuni, specialmente se la persona offesa si è anche costituita parte civile nel processo, volendo ottenere un risarcimento economico dall’esito dello stesso.
In questo caso, infatti, sussistendo un interesse pecuniario della vittima, la valutazione in merito alla sua credibilità e all’attendibilità della sua testimonianza deve essere ancora più rigorosa e pregnante.

Con riferimento al giudizio di credibilità, per poterlo superare, il narrato deve essere proferito in modo logico, lineare e spontaneo, senza intenti vendicativi o calunniatori nei confronti dell’imputato.
Le descrizioni rese in riferimento ai fatti portati in causa devono essere dettagliate e particolareggiate.

Per quanto attiene al giudizio sull’attendibilità, il giudice parte dal presupposto che, fino a prova contraria, il teste riferisce fatti obiettivamente veri, o da lui ragionevolmente ritenuti tali. Tuttavia, come detto sopra, i riscontri esterni sono particolarmente utili a ulteriormente sostenere la versione dichiarata dalla vittima.

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