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Nasconde microspia in auto al marito: moglie condannata

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Una donna cinquantenne, sospettando del tradimento del compagno, installa una “cimice” all’interno della sua autovettura, al fine di conoscere effettivamente la realtà; un giorno, ascoltando quando stava accadendo all’interno dell’automobile tramite il dispositivo di segnalazione acustica, scopre l’amara verità: il compagno è stato sorpreso durante un rapporto sessuale con l’amante.


La donna però, dopo aver scoperto il tradimento, invece di raccontare la verità, ha iniziato a riempire il compagno di telefonate e scenate di gelosia in strada. Tale atteggiamento causato dalla pazza gelosia della donna hanno contribuito a creare all’interno dell’uomo uno stato d’ansia facendolo finire così in un vero e proprio incubo.

Nel frattempo il traditore, essendosi accorto della microspia all’interno della propria autovettura, decide di denunciare la compagna accusandola di violazione della privacy e di stalking (insieme di comportamenti e atti persecutori ripetuti e intrusivi, come minacce, pedinamenti, molestie, telefonate o attenzioni indesiderate, tenuti da una persona nei confronti della propria vittima).

Nel corso del giudizio, il Tribunale di Imperia ha condannato la donna, in primo grado, a 8 mesi di reclusione e ha applicato la misura condizionale subordinandola al pagamento di mille euro di provvisionale e duemila euro di spese legali.

L’accusa sostenuta del Giudice è quella di “illecite interferenze nella vita privata”, per aver installato una microspia nell’auto del compagno e per averlo pedinato, intercettato e assillato di chiamate e messaggi.

L’accusa espressamente indicata è disciplinata dall’art. 615 bis del Codice Penale, il quale punisce chiunque, mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva e sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell'articolo 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.

Alla stessa pena soggiace, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chi rileva o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, le notizie o le immagini ottenute nei modi indicati nella parte di questo articolo.

I delitti sono punibili a querela della persona offesa; tuttavia si procede d’ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato.


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